Giugno 8, 2023

Faliero Marin

Questo xe missier lo Doxe, se ve piase.

Con tale formula, asceso al pulpito di destra vicino all'Iconostasi maggiore nella basilica di San Marco, il nuovo Doge veniva sottoposto all'acclamazione del Clero e del Popolo e, una volta incoronato, pronunciava solenne promissione di fedeltà alla Repubblica.

Diversamente dalle forme di potere vigenti nel resto dell'Europa: Impero, Regno, Signorie e Comuni, quale titolare dell'attività amministrativa e politica sul territorio egli esprimeva una realtà istituzionale unica e fondata su un complesso sistema di organismi interagenti e mai autonomi: Dogato, Maggior Consiglio, Minor Consiglio, Consiglio dei Dieci.

Il suo enorme potere fu però ridotto nei secoli XI e XII quando, trasformato da Principe assoluto in primo Magistrato dello Stato ed assistito da famiglie di censo, gli fu vietato di abdicare, salvo costrizioni; di trattare con Legati stranieri senza previa consultazione dei Consiglieri; di allontanarsi da Venezia senza autorizzazione; di ricevere doni e possedere beni fuori dalla Repubblica; di esporre lo stemma personale, se non nella sola sala dello scudo del Palazzo ducale.

Benché le stesse limitazioni fossero estese ai suoi Familiari, egli restava tuttavia dotato di rilevante prestigio ed autorità potendo, quale Garante del governo, proporre Leggi; presiedere il Consiglio ed apporre il proprio nome su Bolle e monete.

Nel tempo, il meccanismo della sua elezione mutò: se fino al 1172 era stato regolato da undici Elettori la cui scelta veniva convalidata dall'Arrengo, nel 1178 Costoro furono ridotti a quattro che designavano, a loro volta, quaranta Votanti.

Dal 1268, poi, ciascun membro del Maggior Consiglio divenne Elettore degli Elettori attraverso una selezione legata all'estrazione del balottino per prevenire brogli, finché nel 1297 la storica serrata dello stesso organismo ribaltò l'istituto dogale da elettivo ad ereditario, ampliando il numero delle Famiglie iscritte nel Libro d'oro.

L'aumento dei Componenti del Maggior Consiglio, che eleggeva anche i sei membri del Minor Consiglio introdotto verso il 1170 per assistere il Doge e che designava le più alte cariche della Repubblica ed i Magistrati deliberando in materia di amnistie e sanzioni, favorì la creazione di due Assemblee: la Quarantia e il Consiglio dei Rogati o Senato, in carica a vita e rispettivamente deputati al settore giuridico ed amministrativo.

A sostegno di tale collegiale edificio operò dal 1310 il Consiglio dei Dieci, inizialmente costituito da venti Componenti in seguito ridotti a quindici: essi restavano nel ruolo un anno; si riunivano una volta alla settimana; vigilavano sul benessere dello Stato e sulle garanzie del cittadino; sorvegliavano la condotta dei Nobili e delle Corporazioni, l'uso delle armi e la trasparenza elettorale assieme ai Procuratori di San Marco e agli Inquisitori di Stato.

In questo complesso contesto politico e nella deriva sociale causata dallo scontento dei ceti borghesi e dalle conseguenze di una epidemia di peste esplosa mentre nel resto dell'Italia si consolidavano Signorie e Principati, fu eletto Marin Faliero.

Nato nel 1285 in una autorevole famiglia veneziana di remota origine fanese che aveva già dato alla Repubblica due Dogi: Falier Dodoni Vitale dal 1084 al 1095 e Falier Dodoni Ordelaf dall'1102 al 1118; già Comandante di Eserciti e Flotte; già Ambasciatore; già membro del Consiglio dei Dieci; già energico Governatore di Negroponte, Marino occupò il soglio dogale dal settembre del 1354 all'aprile del 1355, quando fu destituito e giustiziato per l'infamante reato di Alto tradimento.

Esigue sono le notizie biografiche, ma è certo che giovanissimo riscuotesse largo credito pubblico se il Consiglio dei Dieci lo aveva incaricato nel 1310 di liquidare Bajamonte Tiepolo, autore di una congiura antirepubblicana.

Malgrado l'indole prevaricatrice, violenta e dispotica, egli fu lungimirante Diplomatico ed abile Statista le cui capacità furono testimoniate dal soffocamento della ribellione di Zara nel 1345.

Dopo più candidature al ruolo dogale e dopo le nozze con l'assai più giovane Alcuina Gradenigo, subentrando ad Andrea Dandolo fu eletto al primo scrutinio al quarto giorno di confronto, riportando trentacinque voti su quarantuno.

Era il 16 settembre del 1354.

Venerdì.

Un giorno al quale avrebbe saldato le sue sorti, poiché sarebbe stato un venerdì anche il 17 aprile del 1355, data della sua esecuzione.

Cinquantacinquesimo Doge della Repubblica, pronunciata solenne Promissione, Marin Faliero si impegnò secondo rito a rispettare i doveri ed i limiti cui la prestigiosa funzione lo chiamava.

Raggiunto dalla notizia della designazione dogale in Avignone, ove si trovava come Legato presso Innocenzo IV, il 5 ottobre successivo fece solenne ingresso in Venezia sul Bucintoro; ma la nebbia impose l'attracco al centro del molo, costringendolo assieme al corteo a passare tra le due colonne di San Marco e San Teodoro.

La circostanza fu subito interpretata come foriera di un Dogato infausto poiché, nell'area dell'ampio corridoio attraversato venivano eseguite le condanne a morte.

Non a caso, un mese più tardi: il 4 novembre, a margine del saccheggio dell'Istria ed a conferma dello sventurato presagio, la Flotta della Serenissima comandata da Niccolò Pisani subì la pesante rotta inflittale dai Genovesi nella baia di Portolongo.

Probabilmente le difficili vicende politiche di quel periodo non avrebbero avuto peso nell'epilogo della vicenda esistenziale del Doge se egli non fosse stato vittima delle sue stesse ambizioni e di un temperamento dirompente e intollerante.

Perché, in definitiva, un personaggio del suo spessore si macchiò d'infamia tentando di rovesciare la Costituzione veneziana e saldandosi alla tragica e fatale coincidenza d'un altro venerdì?

Forse la concezione del potere assoluto conferito alla sua carica fu influenzata dalla memoria dell'Avo Falier Dodoni Ordelaf massacrato a Zara e definito Re dei Re e correttore delle Leggi?

Forse egli stesso fu condizionato dal consistente ristagno economico che soffocava la Borghesia ed opprimeva Venezia, logorata dalla costosa guerra con l'invisa Repubblica avversaria?

Forse fu travolto dalle pesanti conseguenze del precedente conflitto con Verona e dagli strascici del contagio di peste che produsse scarsa circolazione monetaria; consistente aumento d'indigenza e lievitazione dei tassi d'interesse fino ad oltre il 40%?

Forse quel montante malcontento sociale orientò la sua convinzione di liquidare l'incapace ed imperversante Aristocrazia per assicurarsi il dominio assoluto della estenuata Repubblica?

E davvero a quelle complesse valutazioni di opportunità politica ed economica si legò anche l'umiliazione personale subìta quando un gruppo di giovani e dissoluti Patrizi, capeggiati dal futuro Doge Michele Steno, imbrattò le mura cittadine con considerazioni lesive della sua dignità di uomo ed allusive della sua insufficienza di coniuge?

Marin Falier dalla bella mugier - altri la gaude e lu la mantien

Di fatto, verosimilmente anche scoraggiato dalla inadeguatezza delle pene comminate agli Autori del calunnioso affronto, a fronte della evidente caduta di credito d'un regime incapace di tutelare adeguatamente l'onore del suo Doge e di contenere i sempre più frequenti torbidi che pure impegnavano Nobiltà e Plebe, Faliero ritenne doveroso abbattere il potere dei Consigli aristocratici e ricompattare l'autorità dogale ispirandosi al modello del Principe visconteo.

Una tirannide come quella milanese sarebbe risultata certamente più proficua per gli interessi di Venezia, di quanto non lo fosse la gestione politico/oligarchica vigente tesa agli esclusivi vantaggi della casta!

Nel progetto eversivo Faliero coinvolse una manciata di Notabili, tra cui gli Armatori Filippo Calendario e Bertuccio Israello e il Pellicciaio Bertrando Bergamoso.

Insieme fissarono la data della rivolta al 15 aprile del 1355.

In armi, avrebbero assaltato il Palazzo ducale; assassinato i membri dei vari Consigli; eliminato tutto il ceto blasonato ed infine soppresso il Maggior Consiglio.

Il Doge avrebbe, allora, assunto il completo controllo della Signoria di Venezia.

La congiura fallì.

Ricevute dall'amico Bergamoso le incaute confidenze circa i dettagli del piano, senza indugi Niccolò Lion ne informò il Consiglio dei Dieci che dispose l'immediato arresto dei Cospiratori, ordinandone la tortura.

Con vivo sconcerto, in sede d’interrogatorio si apprese la sconvolgente rivelazione: l'Artefice del piano era il Doge in persona.

Il 16 aprile del 1355 Bertuccio Israello; Filippo Calendario e Bertrando Bergamoso con altri nove complici furono giustiziati.

Il 17 sera, dopo la piena confessione resa avanti al Tribunale, Marin Falier fu condannato all' unanimità alla pena capitale per Alto tradimento.

La sentenza fu eseguita sulla grande scalinata del Palazzo, con grande emozione di tutta l'Italia e con il monito espresso da Petrarca circa la funzione dei Dogi, da impegnarsi come ... guide e non i padroni dello Stato. Che dico le guide? Unicamente gli onorati servitori della Repubblica...

Dopo averlo decapitato, ancora brandendo la spada insanguinata il boia gridò: Guardate tutti che è stata fatta giustizia del traditore.

Con la testa posta ai piedi, il corpo del Doge restò esposto per un giorno su una stuoia nella Sala del Piovego e la sera del 18 fu caricato in una gondola e portato alla sepoltura in un cassone di pietra poi alloggiato in un angolo di una cappella della chiesa dei Santissimi Giovanni e Paolo.

La sua drammatica esperienza dogale si era conclusa in soli sette mesi.

Come una processione e ringraziamenti solenni avevano accompagnato nel giorno del 15 giugno dedicato a san Vito l'annientamento della ribellione di Bajamonte Tiepolo, così furono festeggiati nel giorno del 16 aprile dedicato a Sant'Isidoro la conclusione del processo e quella esecuzione.

I trattò di un'altra cupa pagina della pur gloriosa Storia della Serenissima!

Dalla galleria dei ritratti esposti nella sala del Maggior Consiglio, nel 1366 fu rimosso per decreto quello del Principe traditore e, nello spazio vuoto, furono incise parole grèvi come macigni: Hic fuit locus ser Marini Faletri, decapitati pro crimine proditionis.

Dopo l'incendio che nel 1577 devastò il Palazzo Ducale, tra i nuovi dipinti restaurati, al suo posto fu ancora riproposta su un drappo nero la seguente iscrizione: Hic est locus Marini Faletri, decapitati pro criminibus.

La sentenza di condanna non fu trascritta nel Libro IV dei Misti, ove si legge ancora un generico Non Scribatur e la campana che aveva indicato l'avvenuta decapitazione non fu mai più suonata: pena la morte, ma privata del batacchio e posta nella chiesa di san Marco.

Tuttavia, ad onta della damnatio memoriae con la quale la Repubblica Marinara lo bollò, Marin Falier divenne il più celebre dei Dogi e la sua vicenda ispirò la tragedia lirica di Gaetano Donizetti, debuttata al Théâtre Italien di Parigi il 12 marzo del 1835.

La monetazione del suo Dogato: Ducato d'orosoldino d'argento e tornese furono e restano una preziosa rarità numismatica.

Bibliografia:

A. Nani, Storia dei Dogi di Venezia

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