Giugno 20, 2023

Il Grande Interregno

Comune a tutte le organizzazioni politico/sociali latine, l’Interregno era un Istituto di estrazione giuridica romana creato per regolare la vacanza del Supremo Magistrato o del Re, se in regime monarchico e dei Consoli, se in regime repubblicano mentre la Regia Potestas era delegata ad un Interrex o Senatore.

Nel Medio Evo indicò il periodo compreso fra il 1245 ed il 1273, coincidente con la deposizione di Federico II di Hohenstaufen da parte di Innocenzo IV e con l’elezione di Rodolfo I, ovvero la travagliata stagione in cui né a Riccardo di Cornovaglia né ad Alfonso di Castiglia né ad Ottokar di Boemia fu riconosciuta la legittimità imperiale.

Nel perdurare di quella vacanza istituzionale furono eletti Re dei Romani Enrico Raspe e Guglielmo d’Olanda che non riuscirono mai ad esercitare un reale potere su un edificio ormai in disfacimento.

Friedrich Schiller, conformemente alla visione romantica della Germania del XIX secolo, descrisse quell’epoca come caratterizzata da disordini e guerre imputabili solo all’assenza degli Hohenstaufen.

L’attuale Storiografia, invece, tende a ritenerla dominata dall’egoismo dei Principi.

In effetti, di là dalle capacità dei Pretendenti al soglio del Sacro Romano Impero e delle conseguenze prodotte dalla morte dello Stupor Mundi, la polemica verte ancora tutta nella valutazione di opportunità e legittimità morale dell’operato del Papa.

Sull’argomento, oggi come allora, non si registra unanimità; è però chiaro che, se il conflitto fra le Parti impegnò nella forma l’area ideologica riferita al ruolo del Capo della Cristianità, nella sostanza riguardò ragioni di egemonia e di potere.

La circostanza che Federico II fosse a capo del Reich tedesco e del Regno italiano di Sicilia era intollerabile per la Chiesa, stretta in una insopportabile tenaglia territoriale.

La contrapposizione si risolse in un violento scambio di libelli, anatemi, insulti dalla inusitata violenza e nella irrogazione di una triplice scomunica in danno di quel Sovrano nei confronti del quale Gregorio IX non riuscì mai a dissimulare odio e invidia.

L’inasprimento avvenne nel 1240 quando egli programmò un sinodo per esautorare il Rivale che ne impedì la celebrazione con un assedio; con l’assalto delle navi a bordo delle quali viaggiava l’Alto Clero convocato; con l’arresto di un centinaio di Prelati.

Gregorio morì a ridosso di quegli eventi: il 21 agosto del 1241.

Il successivo 10 settembre, forse ancora ignari del suo decesso ed emuli delle iniziative dei Guelfi italiani, i più potenti Principi ecclesiastici dell’Impero, ovvero i Primati di Colonia e di Magonza, aprirono anche in Germania un deciso fronte di ostilità all’Hohenstaufen.

A consolidarlo fu Innocenzo IV: al secolo il genovese Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna che fece sua la vendetta.

Sordo ad ogni tentativo di pace avanzato dalla Cancelleria imperiale, ad un anno dall’insediamento egli fuggì a Lione ove il 3 giugno del 1245, nell’intento di assestare un colpo mortale all’immagine ed al ruolo dell’Imperatore, convocò un’assise per il successivo 28.

Forte di soli centocinquanta Partecipanti essa mancò della reale e pur asserita validità ecumenica e, nelle sue conclusioni, sprezzante dell’esigenza di difesa dell’Europa cristiana sui cui confini esercitavano violente pressioni i Mongoli già attestati lungo le linee austriache e indifferente alla coralità degli appelli di tutte le Monarchie continentali che in Federico II indicavano l’unico autorevole Capo di una crociata difensiva, quale sedicente Rappresentante di Cristo in terra il Pontefice sciolse i Sudditi dal vincolo di fedeltà; destituì lo Staufen dalla carica; incaricò i Principi Elettori di procedere alla designazione di un contraltare.

La crisi s’era latentizzata fin dalla elezione a Re dei Romani del giovane Erede al trono Corrado IV in una Dieta viennese del 1237: la Chiesa non aveva mai riconosciuto quella investitura ed era stato l’Alto Clero germanico ad assumere l’iniziativa di eleggere, il 22 maggio del 1246, un altro Re nella persona del Landgravio di Turingia Heinrich Raspe dagli ambienti ghibellini definito Plaffenkönig o Rex Clericorum.

Deciso a non rinunciare al proprio legittimo titolo, il giovane Staufen sfidò l’Usurpatore che, ferito e sconfitto durante gli assedi di Ulma e Reutlingen, riparò nel suo castello di Eisenach morendovi in solitudine il 16 febbraio del 1247.

Stante la generale indisponibilità a contrapporsi ad un membro della temuta dinastia sveva, i Guelfi ripiegarono per la successione su Guglielmo II d’Orange incoronato in Aquisgrana il 1° novembre del 1248 dall’Arcivescovo di Colonia; tuttavia, poiché la più gran parte degli Elettori si era espressa in favore di Federico II, egli rientrò in Olanda e fu solo nel 1250, alla morte del deposto Imperatore ed in assenza di Corrado IV nel frattempo sceso in Italia, che incontrò quel graduale consenso sancito nel 1254 dalla misteriosa e sospetta morte del legittimo titolare della corona.

Condotta una campagna vittoriosa contro Margherita di Fiandra, nel 1256 Guglielmo aggiogò i Frisoni ma su uno specchio di acqua ghiacciata sotto Hoogwood il suo cavallo impennò sbalzandolo di sella e favorendone la cattura e l’assassinio.

I sette Principi Elettori non si accordarono sul nome del nuovo Candidato al trono: tre di essi, ovvero i Rappresentanti di Treviri, Sassonia e Brandeburgo lo indicarono in Alfonso X di Castiglia; mentre gli Votanti di Colonia, Magonza e Palatinato designarono Riccardo di Cornovaglia.

Il settimo: Ottokar di Boemia vendette il proprio voto ad entrambi i gruppi e nessuno dei due Eletti riuscì a trasformare la propria nomina in potere reale: se Riccardo si fece valere fino a tutto il 1269 recandosi più volte in Germania, Alfonso non dimostrò mai concreto interesse per la tiara e, quando nel 1272 il Principe inglese morì, rinunciò ad ogni pretesa sollecitando Gregorio X ad una designazione in tempi brevi.

Ottokar fu escluso dalla competizione e invano si fecero avanti il Re di Francia Filippo III ed il Landgravio di Turingia Federico l’Audace.

Il collegio votante riunito il 29 settembre del 1273 presentò solo due nomi: Sigfrido di Anhalt e Rodolfo d’Asburgo di cui proprio Federico II di Hohenstaufen era stato padrino di battesimo.

Il 1° ottobre successivo a Francoforte Costui fu eletto Re dei Romani ed il 24 dello stesso mese fu consacrato dal Vescovo di Colonia Engelbert II di Falkenburg.

Della Dinastia staufica, estinta con la decapitazione dell’ultimo suo Rappresentante: Corrado V, a margine della battaglia dei Piani Palentini del 23 agosto del 1268, era restato solo lo struggente ricordo dei Ghibellini italiani.

Una volta insediato, Rodolfo sconfisse Ottokar di Boemia; restaurò l’ordine e la giurisdizione in molte aree dell’Impero; rafforzò il potere dinastico; decretò la nullità di tutte le donazioni ed i lasciti avvenuti dopo la fine dell’epoca federiciana, se non ratificati dalla maggioranza dei Principi Elettori; impegnò Funzionari nella individuazione dei beni imperiali passati a Privati; riorganizzò l’amministrazione del patrimonio; rinnovò il Reichslandfrieden del 1235 rifacendosi all’esempio staufico ma contrattò singolarmente con i Grandi Feudatari dei Landfrieden a carattere locale nell’ Ovest e nel Sud della Germania, proclamandone uno generale solo nel marzo del 1287; affermò la propria autorità nelle più remote periferie; pose, in definitiva, le basi della potenza asburgica ma pur essendo uno dei Principi più amati e stimati del Medio Evo e collocato da Dante nel VII Canto del Purgatorio non fu mai unto Imperatore: in costanza del suo mandato, infatti, si avvicendarono al soglio pietrino ben otto Papi e malgrado due volte si fissasse la data della formale incoronazione essa non ebbe mai luogo.

La circostanza, pertanto, vanificò ogni suo tentativo di assicurare la successione al figlio Alberto.

La politica rodolfiana riscosse enorme successo soprattutto nei territori della Germania Sudoccidentale. Per contro, l’intento di assicurarsi il controllo della Borgogna fu vanamente perseguito perché gli Eredi non seppero preservarla dall’aggressivo espansionismo francese.

L’Interregno si era concluso ma i danni da esso prodotti erano, tuttavia, irreparabili: la vacanza istituzionale durata trent’anni aveva accentuato le spinte centrifughe già presenti nell’Impero e consolidato il ruolo dei Principi, a premessa della Bolla d’Oro del 1356 con la quale essi avevano affermato la propria sovranità mentre varie città rivendicavano autonomia rispetto al potere feudale ed imperiale.

Se al termine di quella lunga e complessa stagione di contrasti e contrapposizioni gli Imperatori non furono più considerati espressione politica dell’Edificio imperiale nella sua globalità, emersero fermenti sociali di un’epoca densa di quel rinnovamento culturale testimoniato dalla passione per l’Astronomia, parallela all’affermazione della Scuola Medica salernitana ove ci si preparava in Medicina e Filosofia e si effettuavano traduzioni dal greco e dall’arabo.

Nei centri urbani crebbe il livello d’istruzione articolato su una sorta di scuola primaria privata cui seguivano la Scuola d’Abaco con conseguente introduzione del sistema numerico arabo introdotto in Occidente dal Liber Abaci di Leonardo Fibonacci e le Scuole Cattedrali collegate alle Università: la prima a Bologna, formidabile per Diritto; la seconda a Parigi, prestigioso centro di tensioni culturali emulato da Padova e Napoli; infine Cambridge, Salamanca, Praga, Colonia, Vienna, Heidelberg e Uppsala.

In quella fase i Codici di Pergamena erano già stati sostituiti da Peciae ovvero estratti di opere famose fornite dagli Stationarii e scritte su carta la cui tecnica di produzione era stata importata in Europa dagli Arabi che, a loro volta, l’avevano mutuata dai Cinesi.

Proprio alla metà del XII secolo un Gruppo di Dotti guidato da Pietro il Venerabile aveva tradotto il Corano e fin dal 1187 aveva cominciato a discutere di Aristotele nelle lezioni di Gerardo da Cremona che, formatosi a Toledo, era stato Portatore di uno spiccato laicismo intellettuale estraneo alle implicazioni teologiche e aveva superato il manierismo della Letteratura cortese dei Trovieri e Trovatori ancora praticato nelle Corti di Federico II di Svevia e Alfonso X di Castiglia.

In Italia, così, dal Dolce stil novo si passò al Volgare che spianò la via al trionfo di Dante.

Il Grande Interregno che ebbe come Protagonisti lotte di potere, guerre religiose e conflitti d’interessi si concluse schiudendo l’Italia alla grandiosa esperienza del Rinascimento ma anche a quell’irreversibile destino di antagonismi tra campanili, sopravvissuto nei secoli fino a contaminare ogni successivo tentativo di unificazione identitaria nazionale.

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