La Congiura dei Pazzi del 26 arile del 1478 consistette di un piano ordito dalla famiglia di Banchieri fiorentini de' Pazzi, decisi a stroncare lo strapotere mediceo con l’appoggio della Chiesa, della Repubblica di Siena, del Regno di Napoli e del Ducato di Urbino.
Il complotto portò all'assassinio di Giuliano de’ Medici e al ferimento di Lorenzo il Magnifico senza, tuttavia, porre fine alla loro egemonia.
Le conseguenze del fatto di sangue ebbero ripercussioni sugli equilibri italiani della fine del ‘400 poiché quella de' Pazzi fu una famiglia di cruciale importanza nella Storia di Firenze.
Capostipite ne fu Ranieri, trasferitosi da Fiesole verso l'XI secolo; ma le figure di maggior rilievo furono quella del leggendario Pazzino, Crociato distintosi nell'assedio di Gerusalemme; quella di Jacopo del Neca, ucciso nella Battaglia di Montaperti; quella di Carlino, citato da Dante nel IX cerchio dell'Inferno fra i traditori della Patria; quella di Andrea, che nel 1429 commissionò al Brunelleschi una cappella nel complesso di santa Croce.
Erano gli anni dell'apogeo della casata delle tre lune che, conseguiti ricchezza e prestigio attraverso l'attività di un solido Banco, si imparentò anche con i Medici attraverso le nozze celebrate nel 1469 fra Guglielmo e Bianca, sorella del Magnifico.
Nel 1471, la frantumazione degli equilibri causata dall'elezione papale di Sisto IV degenerò in quella drammatica contrapposizione che rese Piazza della Signoria, spianata sulle rovine dei palazzi della gloriosa dinastia degli Uberti, teatro dell'agghiacciante vendetta attuata dai partigiani medicei a seguito della fallita congiura.
Di fatto, i Componenti della famiglia Medici, da sempre al centro della politica cittadina, avevano subito già picchi di ostilità: Cosimo era stato esiliato per un anno; suo figlio Piero era sopravvissuto per miracolo a un'imboscata tesagli da Luca Pitti; Leone X avrebbe dovuto essere assassinato dal suo Medico, per ordine di un gruppo di Cardinali; Cosimo I aveva rischiato di essere ucciso al passaggio del suo corteo davanti a Palazzo Pucci.
Alla morte di Pietro de’ Medici gli erano subentrati i figli Lorenzo e Giuliano, rispettivamente di venti e sedici anni.
Grazie al naturale talento ed alla metodologia politica mutuata dal nonno, pur senza assumere incarichi diretti e controllando tutte le Magistrature e i centri di potere, essi erano divenuti padroni della città; si erano affidati agli autorevoli Fiduciari Tommaso Soderini, Giovanni Canigiani ed Antonio Pucci; avevano designato cinque Elettori nei ruoli di Gonfalonieri e i Priori; senza tener conto del parere del Popolo avevano aumentato l'autorità dei Primi e ridotto quella dei Secondi; avevano affidato alla Balìa da Magistrato straordinario ad ormai permanente il potere legislativo, amministrativo e giudiziario ed avevano comunque subìto due gravi tentativi di rovesciamento.
Nel 1470 il Fuoriuscito Bernardo Nardi aveva occupato la fortezza e il Palazzo comunale di Prato e preso Prigioniero il Podestà Cesare Petrucci.
Giorgio Ginori aveva stroncato l'insurrezione e decapitato il Ribelle.
Il 21 aprile del 1472, contro l'insofferenza di Volterra e contro i consigli di Tommaso Soderini, Lorenzo ordinò l'uso delle armi; fece destinare centomila fiorini a spese di guerra e affidò un esercito a Federico d'Urbino.
Dopo un duro assedio, la città si arrese ma in dispregio dei patti sanciti il 18 giugno fu messa al sacco.
Machiavelli scrisse che ... Fu la novella di questa vittoria con grandissima allegrezza dai Fiorentini ricevuta, e perché l'era stata tutta impresa di Lorenzo, ne salì quello in riputazione grandissima: onde che uno dei suoi intimi amici rimproverò a messer Tommaso Soderini il consiglio suo, dicendogli: che dite voi ora che Volterra si è acquistata? A cui messer Tommaso rispose: a me pare ella perduta perchè, se voi lo ricevevi d'accordo, voi ne traevi utile e sicurtà; ma avendola a tenere per forza, nei tempi avversi vi porterà debolezza e noia e nei pacifici danno e spesa...
Per quanto opportuni, i rilievi del Soderini restarono inascoltati: il Governo repubblicano esisteva solo nella forma e Lorenzo mirava ad espandersi verso la Romagna acquistando Imola, dalla quale nel 1472 era stato espulso il Signore Taddeo Manfredi.
Finito nelle mani di Galeazzo Maria Sforza, il centro era appetito anche dall'avido Sisto IV che voleva assegnarlo al nipote Girolamo Riario dopo aver concesso la Porpora ad altri due Congiunti.
Consapevole che il Papa non avrebbe potuto permettersi la cifra pretesa dallo Sforza, Lorenzo pregò i Pazzi, che immaginava solidali per parentela, di non prestare il denaro utile all'acquisto; tuttavia, pur impegnandosi in tal senso, Costoro fornirono al Primate ben trentamila ducati e lo informarono delle pressioni esercitate dal Medici.
Con l'aggiunta di ulteriori diecimila ducati il Papa comprò Imola e nel 1473 la donò all'amato Parente, inasprendo le tensioni con Lorenzo e peggiorandole l'anno successivo quando il Cardinale Giuliano della Rovere assediò Città di Castello e la sottrasse al controllo del Podestà Niccolò Vitelli, minacciando anche la fiorentina San Sepolcro.
All'epoca, Sisto IV aveva già fidanzato Girolamo Riario a Caterina, figlia naturale poi legittimata del Duca Galeazzo Maria Sforza e dell’Amante Lucrezia Landriani
La parentela non placò la sua furia quando apprese che il 2 novembre del 1474 il Duca, i Medici e Venezia si erano uniti in un sodalizio della durata di venticinque anni: la Santissima Lega.
Per non restare isolato, pertanto, aprì relazioni amichevoli con il Re Ferdinando di Napoli condonandogli il tributo; contentandosi di una chinea bianca annua; acconsentendo alle nozze fra suo nipote Leonardo della Rovere e Caterina, figlia illegittima del Sovrano.
Non pago, poi, prese contatti anche con Federico d'Urbino cui nel 1474 conferì il titolo di Duca e alla cui figlia Giovanna destinò Giovanni della Rovere, assegnandogli il Vicariato di Sinigaglia e Mondavio; negò la Porpora a Giuliano de' Medici ed espropriò Lorenzo dell'amministrazione del tesoro della Chiesa, assegnandola ai Pazzi cui era grato per il prestito ricevuto.
Il Magnifico aspettò il momento per vendicarsi dell’affronto.
Quell’incarico revocatogli implicava perdita di prestigio e ricchezza estratti dalle commissioni sui movimenti e dallo sfruttamento delle miniere di allume usato come fissante per la tintura dei panni e per i colori delle miniature ed i cui giacimenti, nei Monti della Tolfa, garantivano il monopolio nella produzione tessile e libraria.
La congiura
In quegli anni, capo della famiglia dei Pazzi era Jacopo che aveva sette nipoti: Guglielmo, Francesco, Renato e Giovanni, figli del fratello Antonio; Andrea, Nicolò e Galeotto, figli del germano Pietro.
Il casus belli che li contrappose spietatamente ai Medici, tesi a contenerne la montante ascesa, si presentò con la morte del ricchissimo Giovanni Borromei: con un colpo di mano, Lorenzo fece stabilire per legge che i nipoti di sesso maschile fossero privilegiati nell'eredità alle figliuole di un padre morto ab intestato e conferì alla norma effetto retroattivo.
Il congelamento della cospicua eredità del Defunto, la cui figlia Beatrice aveva sposato Giovanni de' Pazzi, sollevò l'irriducibile odio del germano Francesco.
Egli era intimo amico di Girolamo Riario, a sua volta preoccupato di perdere i suoi domini in Romagna nel caso di morte dello zio Papa.
Entrambi coinvolsero il Primate di Pisa Francesco Salviati che aveva in odio la dinastia medicea.
Sisto IV gli avrebbe, infatti, assegnato la cattedra di Firenze se Lorenzo non l'avesse rivendicata per il cognato Rinaldo Orsini e, peraltro, dopo essere stato costretto a ripiegare su Pisa, aveva potuto assumerne la guida episcopale solo dopo tre anni di dura opposizione all'investitura.
Tutti insieme decisero di eliminare l'ingombrante Rivale privo del sostegno del Cardinale Camerlengo Latino Orsini, zio di Clarice moglie del Magnifico.
Certamente il Porporato avrebbe costituito un ostacolo per il concretizzarsi della congiura che prevedeva la eliminazione fisica dei due Medici.
Essi chiesero, pertanto, l'appoggio del vecchio Jacopo de' Pazzi che covava animosità ma che, percependo la pericolosità dell'impresa, ne subordinò l’approvazione solo a quando avesse avuto certezza della partecipazione del Papa.
Recentemente è stata scoperto un documento che prova il coinvolgimento diretto anche di Federico da Montefeltro che aveva posto seicento Uomini alle porte di Firenze a disposizione dei Congiurati.
In previsione di scontri, il Legato papale Lorenzo Giustini ed il Governatore di Imola Gianfrancesco Mauruzzi da Tolentino si sarebbero uniti alle truppe del Riario assieme all’Arcivescovo Salviati e Francesco de' Pazzi.
Il Sicario da impegnare nell’assassinio dei Medici fu individuato nel Capitano pontificio Giovan Battista Montesecco che, alla fine, si rifiutò con fermezza di commettere un crimine tanto efferato.
Fiancheggiati da Jacopo Bracciolini; da Bernardo di Bandino Baroncelli; da Napoleone Francesi; da due Salviati, rispettivamente fratello e cugino dell'Arcivescovo; dal Sacerdote volterrano Antonio Maffei e da Stefano Bagnone di Montemurlo, i Cospiratori intensificarono i preparativi della congiura escludendo di ricorrere ad una rivolta generale dai dubbi esiti: quando i Medici fossero stati liquidati, i Fiorentini avrebbero approvato la loro azione come già era accaduto a Milano, dopo l'assassinio di Galeazzo Sforza.
Francesco de’ Pazzi tornò a Roma per gli ultimi accordi con Sisto IV, con Riario e con l'Ambasciatore del Regno partenopeo.
A supporto dell'intrigo, alloggiò truppe in area perugina; ne affidò altre di riserva a Lorenzo Giustini di Città di Castello; piazzò alcuni contingenti in Romagna con Gian Francesco da Tolentino.
Bisognava solo attendere l'occasione giusta a sorprendere i due Nemici.
Essa maturò nella primavera del 1478, quando il diciottenne Cardinale Raffaele Sansoni, figlio di una sorella di Girolamo Riario, recandosi da Pisa a Perugia dov'era stato nominato Legato, non a caso passò per Firenze.
Intendeva festeggiarvi l’acquisizione della porpora.
In suo onore, Jacopo de ‘Pazzi organizzò un sontuoso banchetto nella villa fiesolana di famiglia ed estese l'invito ai Medici progettando di avvelenarli; tuttavia, una improvvisa ed imprevedibile indisposizione di Giuliano fu causa del rinvio del duplice delitto.
La domenica del 26 aprile, allora, il forse ignaro e giovanissimo Prelato invitò tutti alla funzione religiosa che avrebbe officiato in santa Maria del Fiore per ringraziarli della festa in suo onore organizzata il giorno avanti.
Si convenne che, durante la Messa, quando il Sacerdote avesse elevato l'Ostia consacrata e le due Vittime fossero state inginocchiate e a capo chino, Francesco de' Pazzi e Bernardo di Bandino Baroncelli avrebbero infierito su Giuliano, mentre Lorenzo sarebbe stato colpito da Antonio Maffei e Stefano di Bagnone.
Salviati, Bracciolini e gli altri avrebbero nel frattempo occupato il Palazzo della Signoria ed incitato il Popolo alla sollevazione.
La mattina del 26 i Congiurati erano nella chiesa gremita: Lorenzo giunse con l’inseparabile Angelo Poliziano e gli Scudieri Andrea e Lorenzo Cavalcanti.
Giuliano ancora sofferente non andò in chiesa.
Francesco Pazzi e Bernardo di Bandino, allora, si recarono presso la sua abitazione per sollecitarlo a partecipare alla funzione collettiva.
Lo persuasero!
Machiavelli scrisse che ... E' cosa veramente degna di memoria che tanto odio, tanto pensiero di tanto eccesso si potesse con tanto cuore e con tanta ostinazione di animo da Francesco e da Bernardo ricoprire; perché, condottolo nel tempio, e per la via e nella chiesa con motteggi e giovanili ragionamenti lo intrattennero: né mancò Francesco, sotto colore di carezzarlo, con le mani e con le braccia stringerlo, per vedere se lo trovava o di corazza o d'altra simile difesa munito....
L'ignara Vittima, che indossava sempre il giaco sotto le vesti, a causa del dolore ad una gamba quel giorno non vestì l'armatura.
Una volta in chiesa, poi, si diresse verso l'altare mentre Antonio Maffei e Stefano di Bagnone prendevano posto accanto a Lorenzo.
Al segnale convenuto, Bernardo inferse una pugnalata al petto di Giuliano e Francesco affondò la lama diciannove volte, con tale furia da ferire anche se stesso.
Contemporaneamente Antonio e Stefano piombarono su Lorenzo che, pur ferito al collo e pur protetto dai fedelissimi Scudieri, sguainò la spada disorientando i due Assassini.
Essi arretrarono mentre Bernardo di Bandino uccideva Francesco Nori, postosi di traverso con un gruppo di Fedelissimi decisi a coprire la fuga del Signore verso la sacrestia.
In quel locale lo medicarono e, nel dubbio che i pugnali degli Attentatori fossero avvelenati, coraggiosamente Antonio Ridolfi prima di fasciarla succhiò il sangue dalla ferita del Magnifico.
In città, intanto, si sparse immediatamente voce che i due fratelli erano caduti sotto i colpi nemici; ma Lorenzo era già a casa, scortato e protetto dagli uomini del devotissimo Sismondi della Stufa.
Il Cardinale Riario si nascose mentre, secondo i piani, Salviati e Bracciolini si recavano al Palazzo della Signoria ove facevano sapere al Gonfaloniere Cesare Petrucci di dovergli parlare a nome del Papa.
Intuita la trappola, il Magistrato ordinò la chiusura delle porte e l'arresto dei due Intrusi.
Jacopo de' Pazzi, intanto, compariva con i suoi sgherri in Piazza della Signoria gridando Libertà.
Lungi dall'essere acclamato, fu assalito da una folla inferocita e fuggì fuori le mura, ove le truppe del Pontefice e dei Sodali attendevano il segnale concordato: il suono delle campane.
Esse suonarono, ma il loro rintocco richiamò altri Popolani che, al grido di Palle, palle ispirato allo stemma mediceo, si scatenarono spietatamente in una incontenibile caccia all'uomo conclusa con un centinaio di morti.
Pezzi di cadavere degli Oppositori dei Medici furono infissi sulle lance e portati in giro come trofei.
La congiura era fallita.
A poche ore dall'agguato mortale nel quale aveva perduto la vita Giuliano, Francesco de' Pazzi ed il Primate Salviati penzolavano impiccati dalle finestre del Palazzo della Signoria.
Il Cardinale Sansoni si salvò a stento.
Guglielmo de' Pazzi ebbe risparmiata la vita per le suppliche inoltrate dalla moglie Bianca al fratello Lorenzo.
Renato de' Pazzi fu impiccato con Jacopo.
Giovanni Battista di Montesecco fu decapitato dopo aver rivelato i dettagli del disegno ed il ruolo svoltovi dal Papa, indicato principale responsabile.
Napoleone Francesi fuggì.
Bernardo di Bandino Baroncelli, riparato a Costantinopoli, fu consegnato da Maometto II a Lorenzo de' Medici e il 29 dicembre del 1479 fu appeso ad una finestra del Bargello a Firenze.
Stefano da Bagnone e Antonio Maffei furono strangolati in Piazza della Signoria.
I Pazzi superstiti furono tutti arrestati; rinchiusi nella fortezza di Volterra e privati dei beni.
Il loro nome fu cancellato da tutti i documenti ufficiali ed i loro stemmi furono rimossi anche dai fiorini coniati dal loro stesso Banco.
Il 26 divenne giorno della memoria di Giuliano il cui figlio illegittimo, istruito ed allevato dallo zio Lorenzo, fu avviato alla carriera ecclesiale.
Era il futuro Clemente VII, primo Papa mediceo.
Sisto IV ebbe l'impudenza di scomunicare Firenze e di esigere la liberazione dei Prigionieri chiedendo una minacciosa alleanza col Re di Napoli e la Repubblica di Siena per costringere il Magnifico alla resa. Restò, però, isolato dal contesto politico quando Ferrante d’Aragona lo appoggiò favorendone il rafforzamento: preso atto della ferma risposta negativa, il Papa risalì la penisola con i Sodali invadendo e mettendo a ferro e fuoco i territorio fiorentini nel giugno del 1478; spingendosi ad occupare Castellina in Chianti, Castelfiorentino e la fortezza di Poggio Imperiale e tenendo sotto assedio per due mesi Colle di Val d’Elsa.
Si pervenne ad accordi di pace solo il 13 marzo del 1480, ma le contrapposizioni durarono fino al successivo luglio, quando l'attenzione delle Parti si spostò sul Sacco di Otranto.
Fu allora che le questioni si definirono col reintegro dei Medici in tutti i loro possedimenti in cambio di compensi finanziari e con l'invio di truppe militari giuste a contrastare l'attacco turco.
Conseguenze
Lorenzo accentrò definitivamente tutto il potere nelle proprie mani subordinando le Assemblee comunali e la struttura della Repubblica a un consiglio di settanta membri costituito da Personaggi si sua stretta fiducia.
Quale diretto Testimone degli eventi, Angelo Poliziano scrisse un puntuale resoconto della vicenda: Pactianae coniurationis commentarium.
Bibliografia:
M. Vannucci, Le grandi famiglia di Firenze
Einaudi, Storia d'Italia