Giugno 21, 2023

Olimpia Maidalchini Pamphili, la Pimpaccia

Così scrisse il Muratori … Donna di gran senno bensì di non minore onestà ornata, ma insieme soggetta alle vertigini dell’ambizione e dell’interesse…  Trovandosi allora il vecchio pontefice bisognoso di chi l’aiutasse a portare la pesante soma del governo, donna Olimpia ebbe campo, siccome donna umile d’ingerirsi in tutti gli affari; di maniera che a lei facevano capo anche gli ambasciatori e per mezzo di lei si ottenevano le grazie; per le quali vie giunse ella ad accumular tesori

Così disse Sforza Pallavicino …Mostruoso potere di una femmina in vaticano

Così commentò l’Ambasciatore francese Valencay … una gran donna, grande perché ha saputo avanzarsi, assentarsi e rimettersi nella grazia del papa con tanta prudentia che ne stupisce la corte di Roma, per altro avvezza alle meraviglie. Che, poi, sia donna comparisce dalla volontà di accumulare con troppa industria, nel dilettarsi della vendetta e, finalmente, nel far più conto dell’apparenza che della realtà del suo dominio. Pure torno a dire che è una gran donna, e se chi finse che una femmina ottenesse il papato ne’ tempi scorsi, l’avesse saputa descrivere sagace, accorta e provvida come questa, certo che l’avrebbe potuto passare per istoria

Così si espresse Giacinto Gigli:

Nocque Innocenzo al popolo romano

 et fu la gloria sua molto scemata

 per haver posto il bel dominio in mano

 della vedova Olimpia sua cognata

che spesse volte diè la tratta al grano

et la fava per gran fu macinata

et chi chiedea la gratia l’avea l’intento

porgendo alla signora oro e argento

Un groviglio di leggende e maldicenze accompagnano la memoria di Olimpia Maidalchini Pamphili: donna di potere della Roma seicentesca.

Quarta figlia di Vittoria Gualterio e del viterbese Sforza Maidalchini; nata a Viterbo il 26 maggio del 1591, fu divorata dalla peste a San Martino al Cimino il 26 settembre del 1657.

Destinata al convento con le due sorelle Ortensia e Vittoria, a vantaggio degli interessi dell’unico fratello Andrea, si oppose alla decisione genitoriale e accusò di tentato stupro il Padre spirituale incaricato di convincerla a prendere i voti.

Lo scandalo che ne seguì causò a Costui la sospensione a divinis ma, successivamente imparentatasi col Papa, Olimpia riparò la falsa accusa facendolo nominare Vescovo.

Sposata a sedici anni al borghese Paolo Nini dal quale ebbe un figlio precocemente deceduto e restata vedova dopo soli tre anni di matrimonio, assecondando ambizione e cupidigia nel 1612 scelse come secondo marito l’Aristocratico e squattrinato cinquantenne Pamphilio Pamphili, fratello di Giovanni Battista, futuro Papa Innocenzo X.

Egli la immise nei circuiti dell’alta società capitolina presso la quale assunse tale potere da incidere sulla carriera del cognato fino al Conclave ed oltre, grazie al consistente patrimonio ereditato dal primo marito.

Tutta Roma, a cominciare da Pasquino, parlò di come ella fosse molto più legata a questo suo Cognato che non al Coniuge; di come chiunque volesse rivolgersi all'ecclesiastico Pamphilj dovesse passare attraverso di lei e di quanto fossero esosi i suoi favori.

E’ certo che, così com'era stata la principale Artefice della di lui elezione papale ella, cui era stato assegnato il soprannome di Pimpaccia, diventasse Padrona assoluta della corte pontificia e della città acquisendo enorme potere e ingenti ricchezze.

Dalle sue nozze nacquero due femmine e Camillo, la cui paternità fu accreditata proprio al Prelato.

Nel 1639 Olimpia restò di nuovo vedova: si volle, allora, che il Marito fosse stato avvelenato mentre la carriera di Giovanni Battista era sempre più prestigiosa: quando fu designato Nunzio Apostolico del Regno di Napoli, portò con sé il Nipote che gli fu accanto anche in seguito a Parigi, ove svolse l’incarico di Cardinale Legato alla Corte di Francia.

Nel 1644 egli fu cinto della tiara pietrina col nome di Innocenzo X e come primo atto nominò Olimpia sua erede universale, consentendole di decidere nel suo salotto affari, nomine e appalti e rendendola Eminenza grigia della Corte pontificia e Signora di Roma fino ad essere soprannominata la Papessa e fino a consolidarne il già cospicuo patrimonio.

Alta, capelli raccolti in una grossa treccia girata sulla nuca e coperta da un velo vedovile, di aspetto gradevole, vestita sempre di nero, ella divenne la figura capitolina più temuta, corrotta e potente.

Nel 1645 ella ottenne le terre appartenute alla abbazia di San Martino al Cimino e i relativi edifici del complesso abbaziale; quelle della ormai decaduta abbazia cistercense di San Martino al Cimino con ogni pertinenza e il titolo di Principessa e di Feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona. In più, accordatole dal 1646 come risulta dal libro della Depositeria segreta, fu destinataria di un assegno di duecentocinquanta scudi per grande spirito et economia, malgrado fosse … superba e dava alla conversazione più di quanto si convenisse allo stato vedovile; malgrado trascorresse …molte ore al gioco e … la scopriva di animo oltremodo tenace e avida di denaro

Disponendo di una residenza a Viterbo, assistita da importanti Architetti a partire dal Borromini, Olimpia fece restaurare il vecchio cenobio arricchendolo di due torri con funzione di contrafforti; ordinò la costruzione di un imponente palazzo e riorganizzò il borgo, affidandosi alla competenza di Marc'Antonio de Rossi che si occupò delle mura perimetrali, delle porte cittadine, delle abitazioni e delle strutture pubbliche: lavatoi, forni, macelli, teatro e piazza.

Suo figlio Camillo Pamphili, intanto, fu nominato dallo zio/Papa generale della Chiesa; Comandante della flotta e, chiaramente incline alla vita ecclesiale, grazie al Segretario di Stato Cardinale Giovanni Giacomo Panciroli, fu investito della porpora. Tuttavia, conosciuta la vedova del Principe Paolo Borghese: Olimpia Aldobrandini, contro la volontà materna e con dispensa papale abbandonò ogni scelta spirituale e la sposò.

Innocenzo X acconsentì alle nozze ma per prevenire contrapposizioni tra le due Olimpia, relegò la giovane Coppia a Frascati richiamandola a Roma anni dopo quando, per arginare l'ingombrante Pimpaccia, pensò di condizionarne l'arroganza attraverso la presenza della Nuora.

Negli ultimi anni di vita del Papa, sul quale esercitò enorme ascendente, ella vendette benefici ecclesiastici e falsificò atti, con la complicità del Sottodatario e forse anche Amante Francesco Canonici detto Mascambruno per l'importo di cinquecentomila scudi.

A nulla valsero le denunce avanzate dal Cardinale Domenico Cecchini: dovette intervenire il Segretario di Stato Fabio Chigi, esasperato dal suo strapotere e dai suoi illeciti.

Senza remora né scrupoli, Olimpia scaricò da sé ogni responsabilità e accusò falsamente il Sodale facendolo giustiziare e mantenendo ogni decisione importante sotto il proprio vaglio: come Primadonna di Roma, nel 1647 riuscì ad ottenere la Porpora anche per il nipote diciassettenne Francesco, ancora neppure investito degli ordini sacri.

Nel frattempo, a conferma dell’amore per il lusso e per le Arti, ella assunse il controllo cittadino completo anche da un punto di vista urbanistico, promuovendo il nuovo assetto di Piazza Navona; conferendole centralità e prestigio; eliminandone il disordine del mercato e, quando la ebbe liberata dalle variopinte baracche e bancarelle, ordinò la demolizione del palazzo Aldobrandini che, sporgendo eccessivamente, le sottraeva l’antica forma ellittica.

Il Bernini vi sistemò allora la celeberrima Fontana dei Fiumi, trasformata in una vasca principesca.

Si vuole che egli ottenesse la commessa in cambio del dono di un modello in argento della scultura da eseguire alto un metro e mezzo.

Il lavoro di rifacimento della chiesa fu invece affidato al Borromini: il Papa sarebbe morto prima che tutta l’opera fosse completa e le sue spoglie vi sarebbero state alloggiate nella prospettiva che il sacro edificio diventasse una sorta di cappella privata. Quanto ai lavori di restauro del palazzo di famiglia, furono convocati il Pittore Pietro da Cortona e gli Artisti Giovanni Francesco Romanelli, Ciro Ferri, Andrea Carnassu, Girolamo Rainaldi e Gaspari Pausin.

Francesco Allegroni affrescò i soffitti con scene bibliche, mentre quelle realizzate da Pietro s’ispirarono all’Eneide, a Ovidio e ad Omero: le immagini furono utilizzate come sagomi per tappeti tessuti in Fiandra, mentre Carlo Cesi da Rieti le usò per produrre incisioni.

In definitiva, da quello splendido slargo al Gianicolo, ove Alessandro Algardi costruì il celebre Casino del bel respiro, con grande sensibilità artistica Olimpia concorse allo splendore di Roma pur disinvoltamente riscuotendo le rendite dei bordelli.

La sua censurabile condotta si prestò a nuovi scandali nell’occasione del Giubileo del 1650, ufficialmente aperto con la Bolla Appropinquat dilectissimi filii del 4 maggio dell’anno precedente: malgrado gli insuccessi conseguenti alla Pace di Westfalia, infatti, il Primate aveva voluto che l’evento fosse celebrato nel segno della pace.

Mentre Roma veniva, pertanto, invasa da decine di migliaia di Pellegrini provenienti dalla Francia, Spagna, Germania, Polonia, Olimpia avocò a sé la gestione della celebrazione organizzando eventi, accoglienza ed ogni sorta di traffico e attività che producesse introiti.

Così, nei mesi precedenti l’apertura delle Porte Sante, la città fu scossa da un fremito di rinnovamento: San Pietro fu arricchita di marmi, bassorilievi e colonne; le navate di San Giovanni furono ristrutturate; Santa Maria Maggiore e la Basilica di San Paolo furono restaurate; tutte le strade furono ripulite e le prostitute furono allontanate.

Il nipote Francesco, intanto, investito dell’incarico di Delegato all'apertura della Porta della Basilica di Santa Maria Maggiore, avendo tentato di appropriarsi della cassetta contenente le medaglie e le monete d'oro e d'argento del Giubileo precedente e custodite nel muro secondo tradizione, venne a violenta lite con i Canonici che ne rivendicavano la proprietà: per dirimere la questione, si inviò a Olimpia l'analogo scrigno murato a San Giovanni!

Lo sfrenato e avido arrivismo della donna fu frustrato, però, quando in pellegrinaggio giunse l'Infanta Margherita di Savoia che, quale Terziaria francescana, alloggiò nel convento di Tor de' Specchi: ella fece di tutto per avere un’udienza che la Principessa le negò adducendo il pretesto della sordità. Quando, alla fine, il privilegio le fu accordato per le pressioni esercitate dalla Curia, la trattò con notevole freddezza e l’insofferenza ai futili discorsi della sgradita Ospite fu tale da indurla a ostentatamente liberarsi del cornetto acustico.

Innocenzo X si spense il 7 gennaio del 1655.

Si vuole che la cupidigia di Olimpia si spingesse all’asportazione dalla sua camera di due casse colme d’oro e che poi si schermisse rispetto agli oneri di spese funerarie, assumendo d’essere solo una povera vedova.

Di fatto il Papa, la cui morte pose fine all’enorme potere della ingombrante Cognata, restò un giorno intero in attesa d’essere collocato in una bara alla fine acquistata dal suo Maggiordomo.

Il Successore al soglio di Pietro fu proprio Fabio Chigi che, assunto il nome di Alessandro VII, la esiliò da Roma: Olimpia, che aveva abitato per anni in palazzo Pamphili a Piazza Navona, si trasferì nelle proprietà viterbesi.

La Curia tentò invano di rientrare almeno in parte in possesso delle ricchezze accumulate in suo danno da lei, che si era negata anche alla corresponsione delle spese funerarie di Innocenzo: solo in seguito Camillo, ravveduto, fece erigere un monumento funebre allo zio nella chiesa di Sant’Agnese in Agone.

Riportato il mercato a Piazza Navona in una Roma dominata dalla discussa Cristina di Svezia, Alessandro VII, al secolo Fabio Chigi, istituì una Commissione che valutasse le colpe di Olimpia.

A verifiche concluse e confortate da importanti testimonianze, ella fu confinata ad Orvieto ove le fu notificata una ingiunzione che la obbligava a rendere conto di tutto il denaro preso alla Patria subornando i Funzionari; a giustificare il commercio di una enorme mole di benefici; a restituire, sotto pena di scomunica, tutte le somme riscosse indebitamente; a documentare l’uso fatto delle rendite; a spiegare l’utilizzo dei salari estorti agli Impiegati dello Stato; a rendere conto del grano esportato e venduto; a reintegrare tutte le spese superflue; a motivare l’incasso di gabelle e tasse a vario titolo imposte al Popolo; a riconsegnare tutti i preziosi sottratti alla Chiesa.

Infine: un libello pubblicato a Ginevra nel 1667 da un tal A. Gualdi, Vita di Donna Olimpia Maidalchini, fu tradotto in più lingue insinuando che fosse stata l’Amante di Innocenzo X; che la sua beneficenza fosse stata sempre interessata; che la protezione assicurata alle Cortigiane avesse mascherato il traffico della prostituzione; che i comitati caritatevoli e assistenziali ai Pellegrini del Giubileo del 1650 fossero sorti a solo fine di lucro; che il Bernini, caduto in disgrazia, avesse ottenuto la commessa per la Fontana dei quattro fiumi di Piazza Navona solo per averle fatto dono di un modello in argento alto un metro e mezzo dell’opera da eseguire.

Il potere di Olimpia era tramontato nel disonore quando, provvidenziale, intervenne la morte: ella fu divorata dalla peste, dopo due anni di esilio.

L’eredità lasciata al figlio Camillo e alle figlie Maria Flaminia e Costanza, ammontava a due milioni di scudi!

Tra le pasquinate sul suo conto, si ricordano le seguenti:

Per chi vuol qualche grazia dal sovrano / aspra e lunga è la via del Vaticano / ma se è persona accorta / corre da donna Olimpia a mani piene / e ciò che vuole ottiene. / È la strada più larga la più corta

Chi dice donna, dice danno / chi dice femmina, dice malanno / chi dice Olimpia Maidalchina, dice danno malanno e rovina

Una leggenda vuole che il 7 gennaio, giorno dell'anniversario della morte di Innocenzo X, la Pimpaccia corresse ancora per le strade del centro di Roma su una carrozza in fiamme, dal palazzo di piazza Navona attraversando Ponte Sisto per andare a sprofondare nel Tevere con i tesori accumulati.

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