Febbraio 5, 2024

Beatrice Cenci

I Cenci furono una nobile famiglia capitolina forse discendente dall’antica Gens Cincia o da un Cencio del ramo dei Crescenzi, potenti nella Roma medievale.

Francesco, Erede di Monsignor Cristoforo e Tesoriere della Camera Apostolica, ne fu l’ultimo Esponente e, sposato ad Ersilia Santacroce, fu padre di Antonina, Beatrice, Giacomo, Cristoforo, Rocco, Bernardo e Paolo.

Per la sua brutale rissosità, ebbe tanti problemi con la Giustizia da doversi ritirare nella Rocca di Petrella Salto, che fu teatro della terribile vicenda nella quale perse la vita.

Durante la permanenza in tale località, infatti, si invaghì della giovane Annetta Riparella.

Non corrisposto, la fece rapire e poi uccidere ignorando che la vittima era sentimentalmente legata al Brigante Marzio Catalano, deciso a vendicare il proprio onore.

Avvertito dal Servitore Olimpio, il Cenci fuggì a Napoli ma il ritorno nella sua residenza si risolse in quella immane tragedia che consegnò l’intera Famiglia alla Storia.

Beatrice

Nacque a Roma il 6 febbraio del 1577 e vi fu giustiziata l’11 settembre del 1599 per quel reato di parricidio che la trasformò in Eroina popolare.

Alla morte della Madre, nel giugno del 1584 aveva sette anni e con la sorella Antonina fu affidata alle Suore del Monastero di Santa Croce a Montecitorio.

Furono restituite alla famiglia otto anni più tardi e costrette ad un regime di sopraffazione e di violenza posto in essere dal Genitore che, dopo il 1593, passò a nuove nozze con la vedova Lucrezia Petroni dalla quale non ebbe prole.

Francesco Cenci era noto in tutta Roma per l’avarizia e per le abiezioni sicché, tormentata dai sistematici maltrattamenti, Beatrice si rivolse con una accorata lettera a Clemente VIII esponendo la situazione in cui versava assieme ai Germani e supplicandolo di internarla in un convento o di trovarle un marito che la affrancasse dalla sofferenza.

Al Papa le abitudini del Conte erano ben note poiché, nel tempo, era stato più volte sub judice anche per il ripugnante reato di sodomia a fronte del quale aveva pagato la esosa multa di centomila scudi: combinò, pertanto, le nozze della Giovane con un Nobile ed ordinò al Cenci di provvedere alla dote.

Tuttavia egli, che era stato già costretto a provvedere a quella di Antonina, andata Sposa a Carlo Gabrielli di Gubbio, sopraffatto dai debiti rifiutò il matrimonio e si ritirò nella Rocca di Petrella Salto con anche la nuova Consorte Lucrezia Petroni.

Nel 1595, pertanto, Beatrice e la Matrigna si trovarono segregate in un piccolo castello di proprietà dei Colonna, in quella località, e del tutto isolati poterono mantenere contatti solo con l’Amministratore Olimpio Calvetti e un paio di Servitori.

In quel periodo, durante una battuta di caccia il Conte tentò di abusare del Figliastro e sfregiò la Moglie intervenuta per difenderlo.

Beatrice, allora, cercò l’aiuto del Cameriere Marzio da Fioran detto il Catalano per pianificare una fuga ma, temendo ritorsioni, Costui si rifiutò ed accettò di sol consegnare a Roma, ai fratelli Cenci e ad un loro zio materno, lettere nelle quali veniva denunciato il disagio delle due Donne.

Una di queste missive fu intercettata da Francesco che le picchiò selvaggiamente e le trasferì nel piano più alto della Rocca per del tutto isolarle.

Furono la sofferenza e la ingiusta reclusione a spingere Beatrice fra le braccia dell’ Amministratore Olimpio Calvetti, a parer del quale l’unica salvezza risiedeva nell’assassinio del Conte il quale, in aperto contrasto col figlio Cristoforo che mirava a sottrarre alla sua nefasta influenza i fratelli Bernardo e Paolo, fu parimenti rinchiuso nella Rocca.

Il parricidio

Esasperata dalle violenze e dagli abusi paterni, Beatrice pianificò l'omicidio del Genitore con la complicità dei fratelli Giacomo e Bernardo; della Matrigna Lucrezia; di Olimpio Calvetti e del Maniscalco Marzio da Fioran.

Due tentativi fallirono: la prima volta si cercò di eliminarlo avvelenandolo, ma il Conte sospettoso e diffidente, fece assaggiare cibo e bevande alla Figlia prima di consumarle!; la seconda, si cercò di coinvolgerlo in un'imboscata di Briganti che, tuttavia, mancarono l’obiettivo.

La terza volta fu quella fatale: obnubilato dall’oppio fornito da Giacomo e miscelato con una bevanda, il Cenci fu aggredito nel sonno.

Marzio gli spezzò le gambe con una mazza e Olimpio lo finì colpendolo al cranio e alla gola con un chiodo e un martello.

Decisero, poi, di gettare il corpo dalla balaustra della Rocca, contando che si credesse ad un evento accidentale prodotto dal cedimento della struttura.

Il 9 settembre del 1598, il cadavere di Francesco Cenci fu rinvenuto in un orto ai piedi dell’ edificio e, dopo i funerali, fu inumato in fretta nella locale chiesa di Santa Maria.

I Familiari non parteciparono al rito funebre ma rientrarono nella residenza di Roma.

Le indagini

Voci; insinuazioni; sospetti alimentati dall’odio che accompagnava Francesco, indussero le Autorità ad aprire indagini sullo svolgimento dei fatti.

Una prima inchiesta fu voluta dal Feudatario di Petrella: il Duca Marzio Colonna; una seconda fu disposta dal Conte di Olivares don Enrico di Gusman l Viceré del Regno di Napoli, sotto la cui giurisdizione la località ricadeva.

Clemente VIII ne sollecitò i risultati: le spoglie furono riesumate ed i Medici incaricati di esaminare le ferite esclusero che esse potessero essere state causate dalla caduta.

Di più: una lavandaia testimoniò di aver lavato lenzuola sporche di sangue, giustificate da Beatrice come incidente mestruale mentre agli Inquirenti risultava sconcertante proprio l’assenza di elementi ematici nel luogo ove il corpo era stato trovato.

Furono arrestati tutti e Calvetti confessò.

Riuscito a fuggire, fu poi fatto assassinare da Monsignor Mario Guerra, per impedire che formalizzasse le dichiarazioni.

Giacomo e Bernardo rivelarono la complicità nel delitto.

Anche Marzio da Fioran ammise le circostanze ma, messo a confronto con Beatrice, ritrattò e morì poco dopo per le torture inflittegli: inizialmente Ella indicò in Olimpio l’unico colpevole finché, sottoposta alla corda e sopraffatta dalla tortura, si fece carico delle proprie responsabilità.

Con la Matrigna fu deportata nel carcere di Corte Savella, mentre i fratelli Bernardo e Giacomo venivano rinchiusi in quello di Tordinona.

Il processo e le esecuzioni

L’inchiesta fu affidata al Giudice Ulisse Moscato e contrappose i due più grandi Avvocati del tempo: Pompeo Molella per l’accusa e Prospero Farinacci per la difesa.

Dopo un concitato processo furono tutti giudicati colpevoli e condannati a morte.

L’Alto Clero capitolino inoltrò richieste di clemenza a Clemente VIII, che le respinse: Beatrice e Lucrezia furono condannate alla decapitazione e Giacomo allo squartamento.

Solo a Bernardo fu commutata la pena per la giovane età: egli non aveva partecipato attivamente al delitto e, pertanto, gli si ascrisse la sola mancata denuncia del crimine.

Benché gli fosse risparmiata la vita, infine, gli furono irrogati i remi perpetui sulle galee papali ed imposto di assistere legato ad una sedia alla esecuzione dei Parenti.

La mattina dell'11 settembre del 1599 in una gremita piazza Castel Sant’Angelo, alla presenza anche di Artemisia ed Orazio Gentileschi e del Caravaggio, le sentenze furono eseguite.

La prima a essere uccisa fu Lucrezia; poi Beatrice e infine Giacomo, seviziato lungo il percorso con tenaglie roventi; mazzolato e infine squartato.

Nel testo documentale di Giambattista Bugatti è raccontata una Relazione del supplizio dei Cenci; ne emerge che Lucrezia …Non sapendo come dovesse accomodarsi domandò ad Alessandro primo boia cosa avesse da fare, e dicendole che cavalcasse la tavoletta del ceppo e si stendesse sopra di quella, nel che fare per la mole del corpo, ma più per la vergogna durò grandissima fatica, ma molto maggiore fu quella di accomodarsi con il collo sotto la mannaia, perché aveva il petto tanto rilevato che non poteva arrivare a porre la gola sopra quel legnetto in cui cade il ferro della mannaia, a cagione che, non essendo la tavoletta più larga di un palmo, non era capace per l'appoggio delle mammelle…

Vi furono vani tumulti e risse, nel tentativo di condizionare gli eventi in segno di sprezzo della impietosa condotta di Clemente VIII.

Raccolta in preghiera, Beatrice baciò il Crocifisso, fu benedetta dal Frate e, lasciate le pianelle, salì lentamente scalza sul patibolo per raggiungere il ceppo.

Si collocò da sola impedendo al Boia di levarle il velo dal collo, che ella stessa gettò; a voce alta invocò Gesù e Maria e poi le fu inferto il colpo fatale esaltato dall’urlo di orrore della folla.

Il suo capo fu esibito mentre il corpo s'agitava ancora con violenza.

Bernardo svenne.

Le spoglie della Cenci furono ospitate in un loculo davanti all'altare maggiore di San Pietro in Montorio, sotto una lapide anonima secondo legge.

Le proprietà della famiglia, confiscate dalla Camera Apostolica, andarono all’asta e furono acquistate da Gian Francesco Aldobrandini, Nipote del Papa!

Nel 1798, durante la Prima Repubblica romana i Francesi si dettero a razzie ed espropri violando anche le tombe per recuperare il piombo delle casse.

Nella citata chiesa spaccarono le lastre dei sepolcri e, aperto quello di Beatrice, ne asportarono il vassoio d'argento che ne ospitava la testa.

Il ricordo

La vicenda della bellissima e sfortunata Beatrice, vittima della torbida condotta paterna, sollevò sentimenti di commozione e di ripulsa anche negli ambienti artistici: incesto, vendetta ed espiazione ispirarono le Arti figurative e letterarie.

Da Stendhal a Shelley; da Julius Slowackj a Gonçalves Dias; da Francesco Domenico Guerrazzi ad Alexandre Dumas; da Alfred Nobel ad Alberto Moravia, la pietà per la sorte della sventurata Nobildonna impegnò anche la Musica: dall’opera di Giuseppe Rota all’opera di Luigi Sante Colonna; dal dramma musicato di Havergal Brian a quello di Berthold Goldschmidt.

Il mito della “…. vittima esemplare di una giustizia ingiusta… “ è ancora vivo come la memoria di Clemente VIII che, malgrado i Nobili non potessero essere sottoposti a torture, privò i Cenci di tale privilegio e dispose col motu proprio "Quemadmodum paterna clementia" del 15 agosto del 1599, che essi fossero trattati al pari di qualsiasi altro Criminale: odiando i Cenci, Egli profittò della loro tragedia per impadronirsi dei loro averi; per privarli dei titoli; per confiscargli i gioielli ed anche il quadro raffigurante Beatrice ed attribuito a Guido Reni.

Bibliografia

L. Antonelli, Beatrice Cenci: cronaca di una tragedia

F. D. Guerrazzi: Beatrice Cenci

N. Valentini, Beatrice Cenci: un intrigo del Cinquecento

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